Site Loader

Iniziamo con una domanda: cosa si intende con il termine investigazione e quale utilità può avere una tale attività?

La risposta potrebbe sembrare scontata.

Con il termine investigazione si fa riferimento a quell’attività di ricerca meticolosa ed attenta che segue un percorso necessariamente volto all’accertamento della verità. Investigare vuol dire raccogliere dati, analizzarli uno ad uno e disporli in maniera tale da riuscire a portare a compimento la ricostruzione di un fatto da verificare. Se l’obiettivo primario dell’investigazione è quello di accertare la verità, non si può negare l’importanza o addirittura l’essenzialità, della raccolta di elementi utili ai fini del suddetto accertamento. Proprio in tale ottica si inserisce l’importanza per il difensore di poter avere un ruolo dinamico all’interno del processo penale nell’interesse della persona assistita e di poter attivamente partecipare alla formazione della prova mediante propri contributi investigativi. Una simile facoltà, conquistata a gran fatica, è stata resa possibile solamente con l’abbandono del vecchio sistema inquisitorioche, fondato sul principio di autorità, concentrava sia la funzione investigativa che quella decisionale in capo ad un unico soggetto: il giudice.

Con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale del 24 ottobre 1989, il nostro ordinamento ha finalmente abbandonato il vecchio modello processuale in favore del sistema accusatorio, grazie al quale si è inteso riconoscere all’avvocato difensore specifiche facoltà in ordine al diritto alla prova. Il codice di rito infatti, all’art. 38 delle disposizioni attuative al codice di procedura penale, prevedeva le cosiddette “Facoltà dei difensori per l’esercizio del diritto alla prova”,riconoscendo loro in tal senso la possibilità di raccogliere elementi di prova in favore dell’assistito, nonché di conferire con le persone in grado di dare informazioni. Già all’epoca, dette facoltà erano riconosciute tanto a difensore quanto ai suoi sostituti, agli investigatori privati e ai consulenti dallo stesso nominati, con implicito riconoscimento di un’attività da svolgersi in squadra con l’unione di differenti competenze. In realtà però, la formulazione letterale dell’art. 38 disp. att. c.p.p. presentava delle lacune in quanto di fatto riconosceva al difensore e ai suoi collaboratori la facoltà di svolgere indagini, ma non ne indicava le forme e le modalità e pertanto la norma risultava insufficiente a garantire il diritto alla prova. Da un punto di vista normativo, il legislatore ha quindi voluto prendere provvedimenti, andando a modificare il codice di rito in talune parti, nel tentativo di colmare le lacune evidenziate. Nello specifico la Legge 8 agosto 1995, n. 332 ha introdotto due nuovi commi all’art. 38 disp. att. c.p.p. (commi 2 bis e 2 ter) con i quali si è prevista la possibilità per il difensore di presentare direttamente al giudice gli elementi di prova raccolti, i quali potevano essere anche inseriti nel fascicolo degli atti di indagine in originale e in copia, se la parte che li produceva ne richiedeva la restituzione. La c.d. Legge Carotti, inoltre, ha apportato significative modifiche all’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p., introducendo tra i vari avvertimenti da dare all’indagato, anche quello relativo alla facoltà di depositare al Pubblico Ministero le risultanze delle investigazioni difensive espletate dal difensore, nel termine di 20 giorni.

A seguito di tali modifiche avviene la vera svolta. Il 7 dicembre 2000 entra in vigore la Legge n. 397, pubblicata in G.U. il 03 gennaio 2001, dal titolo “Disposizioni in materia di indagini difensive”con la quale da un lato nasce la terminologia specifica “Investigazioni Difensive”e, dall’altro, l’attività d’indagine di parte acquista un degno posto all’interno del codice di rito. La nuova legge ha introdotto nel nostro codice di procedura penale l’art. 327 bis c.p.p“Attività investigativa del difensore”ed il Titolo VI-Bis rubricato appunto “Investigazioni Difensive”. Si tratta di un nuovo corpo di norme (dall’art. 391 bisal 391 deciesc.p.p.) volto a colmare le precedenti lacune e a disciplinare in maniera dettagliata le modalità secondo le quali l’avvocato difensore può svolgere le proprie indagini. Infatti, l’art. 327 bis c.p.p. non riconosce soltanto al difensore la facoltà “di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito”in un’ottica di reale attuazione del diritto di difesa attuabile “in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere giudizio di revisione” ma indica anche che tale attività dovrà essere esercitata “nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI bis”. Ed infatti gli artt. 391 bis e ss. c.p.p. prevedono tutte le attività che l’avvocato può espletare parallelamente all’attività investigativa pubblica svolta dall’accusa, riconoscendo al difensore una prerogativa unica che è quella di poter svolgere, ai sensi dell’art. 391 nonies c.p.p., attività di investigazione difensiva preventivada espletare “per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”. Tale attività investigativa potrà quindi essere svolta ancor prima dell’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro o, in alternativa, potrà essere utile alla persona offesa per valutare l’opportunità o meno di presentare una denuncia-querela. Pertanto, nella nuova ottica processuale, il concetto di difesa inteso in senso classico è completamente rivoluzionato in favore di un dinamismo che rende l’avvocato una figura non più marginale rispetto alla Pubblica Accusa, bensì ad essa parificata, soprattutto in riferimento alla ricerca della prova. Ecco che il diritto alla prova di cui all’art. 190 c.p.p. è divenuto realmente centrale quale componente essenziale ed irrinunciabile di un più ampio principio, garantito dall’art. 24 della Costituzione, che è il diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Tali diritti trovano piena ed effettiva realizzazione solo con la nuova Legge 397/2000 fornendo all’avvocato una serie di strumenti attraverso i quali essere parte centrale del processo penale, a maggior tutela dei diritti del proprio assistito. L’avvocato ha oggi un potere enorme potendo sottoporre a vaglio del giudice, al pari del Pubblico Ministero, gli elementi di prova raccolti nel corso della sua investigazione, andando così ad incidere sulla sua decisione e contribuendo ad evitare che il giudicante incorra in errori. L’attività di indagine difensiva viene concepita come parallela, complementare e spesso anche suppletiva rispetto a quella dell’accusa e sarà in grado di offrire al giudice un incredibile aiuto nel momento della valutazione della prova, contribuendo a prospettare una ricostruzione del fatto – reato il più possibile vicina alla sua reale dinamica. Solo un’investigazione di parte, attuata in ottica multidisciplinare e di squadra ed effettuata con dedizione e umiltà, nella consapevolezza che ogni risultato ottenuto è credibile, attendibile e corretto solo se sottoposto a continua verifica, potrà di fatto garantire un’effettiva difesa del cittadino e contribuire alla risoluzione del caso secondo giustizia.

Avv. Carlotta Cerquetti

Post Author: Avv. Carlotta Cerquetti

Lascia un commento