La revisione è un mezzo di impugnazione straordinario esperibile avverso i provvedimenti di condanna ormai passati in giudicato.
Per tale motivo può considerarsi l’unico metodo per porre rimedio ad un errore giudiziario, idoneo ad abbattere la sacralità del giudicato.
I CASI DI REVISIONE
La revisione può essere richiesta:
- se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;
- se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall’articolo 479;
- se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell’articolo 631;
- se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.
REVISIONE E INDAGINI DIFENSIVE:
In tema di revisione le investigazioni difensive assumono un ruolo fondamentale, soprattutto nei casi previsti dall’art. 630 comma 1 lett. c), vale a dire quando, a seguito di condanna, emergono prove nuove tali da dimostrare l’innocenza del soggetto condannato. In tale ottica è facile comprendere l’importanza dell’investigazione svolta dal difensore e dalla sua squadra di consulenti tecnici proprio ai fini della ricerca e individuazione di prove nuove idonee a dimostrare l’innocenza di un soggetto ormai condannato. D’altronde va tenuto in considerazione che proprio l’art. 327 bis c.p.p., al secondo comma, riconosce espressamente al difensore la facoltà di svolgere indagini per esercitare al meglio il diritto di difesa, non ponendogli alcun limite temporale. Al contrario, le facoltà investigative possono essere svolte “in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione”.
SOGGETTI LEGITTIMATI A PRESENTARE RICHIESTA DI REVISIONE (art. 632 c.p.p.)
- il condannato o un prossimo congiunto o il tutore o, se il condannato è morto, l’erede o un prossimo congiunto;
- il Procuratore Generale presso la Corte di Appello nel cui distretto è stata pronunciata la sentenza di condanna.
IL GIUDICE COMPETENTE
Il giudice competente a decidere è la Corte d’Appelloindividuata sulla base dell’art. 11 c.p.p. rispetto a quella corrispondente al distretto comprendente il giudice che ha emesso la sentenza di merito poi passata in giudicato.
FORMA DELLA RICHIESTA
La richiesta, ai sensi dell’art. 633 c.p.p., va presentata personalmente o per mezzo di un procuratore speciale e deve contenere “l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano”ed essere presentata insieme alla eventuale documentazione, nella cancelleria della Corte di Appello individuata in base ai criteri dell’art. 11 c.p.p. La richiesta di revisione delle sentenze di condanna e dei decreti penali di condanna divenuti irrevocabili può essere avanzata senza limiti di tempo a favore dei condannati. La Corte, con ordinanza, potrà in qualunque momento disporre la sospensione della pena o della misura di sicurezza (art. 635 c.p.p.). Fatta eccezione per il caso in cui vi sia una declaratoria di inammissibilità (art. 634 c.p.p.), il giudizio di revisione termina con sentenza di accoglimento o di rigetto (art. 637 c.p.p.). Nel primo caso “il giudice revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna e pronuncia il proscioglimento indicandone la causa nel dispositivo”.Nel secondo caso, il giudice condanna la parte che ha presentato la richiesta di revisione al pagamento delle spese processuali e, qualora fosse stata disposta la sospensione della pena o della misura di sicurezza, dispone che ne riprenda l’esecuzione. In ogni caso, la dichiarazione di inammissibilità della richiesta o la sentenza di rigetto non precludono all’istante il diritto di presentare una nuova richiesta basata su elementi differenti (art. 641 c.p.p.).
RIPARAZIONE DELL’ERRORE GIUDIZIARIO
L’art. 643 c.p.p. prevede per il soggetto prosciolto a seguito della domanda di revisione, il diritto ad una “riparazione commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena”nonché alle conseguenze personali e familiari che ne sono derivate. Ciò solo nel caso in cui l’errore giudiziario non sia stato da lui determinato per dolo o colpa grave. Tale diritto alla riparazione nel caso in cui il condannato muoia, si estende al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai fratelli, alle sorelle e agli affini (art. 644 c.p.p.). La domanda di riparazione deve essere proposta, personalmente o per mezzo di un procuratore speciale, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di revisionea pena di inammissibilità e va presentata per iscritto, insieme ai documenti ritenuti utili, presso la cancelleria della Corte di Appello che ha pronunciato la sentenza (art. 645 c.p.p.).
GIURISPRUDENZA RILEVANTE IN MATERIA DI “PROVA NUOVA”
“Prova nuova”,rilevante ai fini della revoca “ex tunc” della misura di prevenzione della confisca, ai sensi dell’art. 28, comma primo, lett. a) D.Lgs. 159 del 2011, è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell’ambito del suddetto procedimento.
(Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 28628 del 8 giugno 2017)
In tema di revisione, rientra nella nozione di “prova nuova”la rilevazione della mancanza della condizione di procedibilità del reato per cui è stata emessa sentenza di condanna, in quanto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen, devono considerarsi tali sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle già acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice.
(Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 17170 del 5 aprile 2017)
Ai fini dell’ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti può costituire “prova nuova”, ai sensi dell’art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute idonee a cogliere obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche. (in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da vizi l’ordinanza della Corte di Appello che aveva ritenuto inammissibile l’istanza di revisione fondata su una perizia fonica, svolta in un procedimento diverso e parallelo, che aveva escluso la riferibilità di una conversazione al condannato, non avendo l’istante svolto alcuna deduzione in ordine alla novità del metodo osservato in perizia, né in ordine alla capacità di quest’ultimo di divenire strumento di apprensione di dati nuovi, non ravvisando alcun elemento di novità del metodo tecnico osservato).”
(Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 13930 del 22 marzo 2017)
La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuoveprove, implica il riferimento alla regola di giudizio dell’assenza delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sicché deve trovare fondamento in elementi tali da dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena deve essere prosciolto per la ricorrenza di una delle cause che danno luogo all’immediata declaratoria di non punibilità. (In applicazione di tale principio è stata confermata la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di revisione proposta sulla base di una sentenza di assoluzione emessa dall’autorità giudiziaria straniera nei confronti dell’imputato).
(Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 26000 del 13 giugno 2013)
In tema di revisione agli effettidell’art. 630, comma primo, lett. c) c.p.p., una perizia può costituire prova nuovase basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati. (In applicazione del principio, la Corte, ha censurato la sentenza della Corte di Appello che aveva escluso a priori potesse considerarsi prova nuova una perizia fondata sulla metodologia IAT e TARA, volta a scandagliare la capacità mnemonica si un teste, metodologia illustrata in sede di richiesta di revisione di una consulenza tecnica effettuata come test nei confronti dell’imputato).
(Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14255 del 26 marzo 2013)
È inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di condanna fondata su nuovi accertamenti scientifici ove manchi la riconosciuta affidabilità tecnica degli stessi, difettando la natura di “provanuova”.(In motivazione la Corte ha precisato che gli accertamenti offerti, in questo caso, appaiono in realtà diretti ad ottenere una valutazione alternativa del fatto).
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4355 del 1 febbraio 2012)
Non integra prova nuova, ai sensi dell’art. 630 lett. c) c.p.p., ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di revisione, la semplice ritrattazione di una precedente testimonianza la quale non superi un rigoroso vaglio di attendibilità.
(Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 4960 del 31 gennaio 2008)
In tema di revisione, anche nella fase rescindente le nuove provededotte, sebbene ai limitati fini della formulazione di un giudizio astratto, devono essere comparate con quelle già raccolte nel normale giudizio di cognizione per giungere, in una prospettiva complessiva, ad una valutazione sulla loro effettiva attitudine a far dichiarare il proscioglimento o l’assoluzione dell’istante.
(Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 35697 del 28 settembre 2007)
Le prove nuoveidonee a sostenere una richiesta di revisione ec art. 630, comma primo, lett. c) c.p.p., non possono consistere nelle dichiarazioni liberatorie di un coimputato, atteso che tali dichiarazioni soggiacciono alle limitazioni valutative dettate dall’art. 192, commi terzo e quarto c.p.p., che attribuisce ad esse la natura di semplici elementi di prova non suscettibili di valutazione autonoma, potendo le stesse essere prese in considerazione solo unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità.
(Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 47831 del 15 dicembre 2003)
Per addivenire ad un giudizio di revisione di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile sono necessarie “nuove prove”,ai sensi dell’art. 630, lett. c) c.p.p., e non dei meri elementi di prova, come la chiamata in correità o in reità proveniente da uno dei soggetti indicati nell’art. 192, commi 3 e 4, del codice di rito, la quale si presenti priva, allo stato, di qualsiasi indicazione oggettiva di immediata riscontrabilità circa l’esistenza di ulteriori elementi idonei a corroborarla.
(Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 14216 del 12 aprile 2002)
In tema di revisione, la sentenza di assoluzione dei coimputati, pronunciata in un separato procedimento, non può essere considerata di per sé “nuova prova”,come tale rilevante a norma dell’art. 630 lett. c) c.p.p. (nella specie, la Corte non ha riconosciuto la natura di “nuova prova” alla sentenza di assoluzione dei coimputati in quanto fondata sulle stesse fonti di accusa utilizzate per la condanna del ricorrente ed ha escluso che possa essere rivalutata nel giudizio di revisione una prova già presa in considerazione dai giudici della cognizione principale).
(Cassazione penale, Sez. IV, sentenza n. 8135 del 28 febbraio 2002)
In tema di revisione, per prove nuoverilevanti a norma dell’art. 630 lett. c) c.p.p. ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla senza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l’omessa conoscenza da parte di quest’ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario.
(Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 624 del 9 gennaio 2002)
Avv. Carlotta Cerquetti